Diritto Civile e Processuale Civile
Uno psicodramma
Sono passati diversi anni, ma non ho dimenticato il caso Dotti.
Sono certo che me lo ricorderò per tutta la vita.
Piero Dotti era stato socio e amico fraterno di mio padre, quello che si definisce uno di casa. Mi aveva regalato lui la prima sciarpa a tinte rossonere. Mi portava a San Siro, per le partite del Milan, al secondo anello blu, tutte le volte che mio padre era troppo occupato per farlo. Dopo essere usciti dallo stadio andavamo a mangiare la pizza al ristorante, sulla piazza attigua allo stadio in cui lui parcheggiava l’auto.
Quello che chiamo caso Dotti avrebbe dovuto essere una pura e semplice pratica di sfratto per morosità (1), niente di complesso o originale, ed invece si trasformò con discreta rapidità in un vero e proprio psicodramma, nel tassello mancante per evidenziare le storture del mio lavoro, nell’occasione irripetibile di assumere la decisione di un nuovo e definitivo cambiamento della mia vita professionale.
I Dotti avevano un appartamento di quattro vani, oltre servizi ed ampio balcone, in zona Giambellino. Conoscevo bene la casa, perché da bambino ci avevo passato parecchie domeniche pomeriggio, dal pranzo alla cena, giocando col loro figlio e mio coetaneo Francesco.
Piero Dotti aveva deciso di mettere a reddito l’immobile, dandolo in locazione a terzi con contratto di quattro più quattro (2).
L’ultima volta, però, gli era andata male. Pensava di avere scelto con cura cui il suo affittuario: un imprenditore di apparente successo con moglie e tre figli, di nome Enrico Sforza. Il tizio si era presentato bene, consegnando ampia documentazione sulla sua situazione patrimoniale. Tuttavia, dopo soli quattro mesi, aveva smesso di pagare sia i canoni sia le spese, rifiutando persino di versare semplici acconti. Assicurava sempre di saldare il debito il giorno dopo o il mese successivo, ma alle parole non seguivano i fatti. Arrivò ad accumulare più di un anno di arretrati. All’inizio prometteva che avrebbe provveduto appena possibile, pretendendo che gli si credesse sulla parola, e tuonava che “non si lascia sul marciapiede una famiglia per bene”. Poi aveva smesso di ritirare la posta e di rispondere al telefono, rendendo palese la sua intenzione di non pagare affatto.
Quando vidi Piero alla porta dello studio legale Goggi, feci fatica a riconoscerlo.
Mi stupii di trovare un uomo con i capelli bianchi, qualche ruga in fronte ed un paio di baffi e lui mi fece notare che erano più di dieci anni che non ci vedevamo. Mi sentii in imbarazzo perché tante volte avevo pensato di andarlo a trovare, ma alla fine non mi ero mai davvero deciso a farlo.
Gli promisi che mi sarei occupato della sua pratica fin dal giorno successivo e rifiutai l’anticipo che voleva darmi.
Con mia grande sorpresa, appena cinque giorni dopo, Enrico Sforza rispose alla mia diffida legale e si presentò in studio, nel bel mezzo di un pomeriggio freddo e piovoso.
Mi sembrò un uomo cerimonioso, con la cravatta perfettamente allacciata e la giacca senza una piega, dal portamento distinto e dal sorriso convincente.
Lo feci accomodare all’altro capo della mia scrivania e tentai un approccio dialogante. Il manuale dell’avvocato saggio impone al difensore di sondare fin da subito la possibilità di un buon accordo, di un onesto compromesso. L’avvocato saggio, infatti, sempre che esista davvero nella realtà, conosce bene i costi, le lungaggini ed i rischi di un giudizio e, contrariamente a quanto ritiene l’uomo della strada, sa bene che converrebbe anche a lui mettere nero su bianco un patto tra gentiluomini.
«Signor Sforza, non è mia intenzione notificare un atto di citazione in Tribunale senza avere prima parlato con la controparte. Però è da un anno che lei non paga l’affitto al mio cliente. Quando pensa di farlo? Le posso concedere una rateazione ragionevole, a patto che lei paghi regolarmente le prossime mensilità».
Lui si toccava la cravatta, con insistenza, e non mi guardava negli occhi. «Oggi non sono in grado di dirglielo. Tra un paio di mesi dovrebbe entrarmi un nuovo lavoro e allora mi farò vivo io. Sono in difficoltà, troppi clienti non mi hanno pagato. Il suo cliente deve capire!».
Non potei esimermi dal notare la genericità di quella promessa, espressa al condizionale e proiettata in un futuro indefinito. «Mi spiace, ma posso prendere in considerazione piani di rientro solo a patto che lei li ipotizzi subito e versi in tempi rapidi la prima rata. Il mio cliente non può aspettare due mesi per conoscere le sue intenzioni».
In quell’istante mi sembrò di assistere ad un vero e proprio processo di mutazione genetica del mio interlocutore.
Il tizio dal sorriso stampato in faccia, dai modi gentili e dall’atteggiamento remissivo che era stato seduto davanti a me fino all’istante prima ora assumeva le sembianze della belva in gabbia.
I suoi occhi sembravano gallerie nere e profonde. La mascella ed un angolo della bocca cominciarono a tremare, mentre le palpebre sbattevano all’impazzata. Sul viso gli comparve una smorfia di disgusto.
«Il suo cliente non può aspettare? E invece io le assicuro che aspetterà!». La sua voce era simile al rimbombo di un tuono.
Quell’arroganza non mi piacque e decisi di non retrocedere di un solo centimetro. «Mi spiace, caro signore, ma su queste basi non possiamo trattare. Rischiamo di perdere solo tempo».
Il tizio sembrò sul punto di balzare in piedi, ma riuscì a trattenersi all’ultimo istante. «Il suo cliente è pieno di soldi, avvocato, le assicuro che può aspettare un padre di famiglia in difficoltà, con la moglie malata e tre figli piccoli. Pagherò quando potrò!».
Con un gesto eloquente chiusi la pratica che avevo formato, col contratto di locazione ed i cedolini mensili per i canoni. «Riferirò al cliente. Ma devo avvertirla che è molto probabile che a breve lei riceva la notifica di una citazione in Tribunale per convalida di sfratto. Mi spiace ma queste sono le istruzioni a cui mi devo attenere».
Avevo cercato di misurare le parole ed il tono della voce, perché intuivo di avere davanti a me un uomo che sarebbe stato pericoloso umiliare o affrontare con eccessiva ruvidezza. Nel suo sguardo brillava una luce sinistra.
La mia cautela non bastò a tranquillizzarlo e notai il signor Sforza mordersi un labbro ed afferrare i braccioli della sedia.
«Lei mi parla di sfratto? Ma con quale coraggio?!».
«E’ la procedura…».
«Procedura? Qui parliamo di una famiglia sbattuta fuori di casa in pieno inverno, avvocato, e per giunta con tre minori a carico. Questo non succederà mai! Mi barricherò, chiamerò i medici e gli assistenti sociali. I miei figli non finiranno sul marciapiede, dovessi andare in prigione!».
“Dovessi andare in prigione…”. Ripetei nella mia testa queste poche ed ammonitive parole: eccola la minaccia di chi vuole far paura senza esporsi in modo troppo diretto.
Capendo che la tensione rischiava di salire a dismisura, provai a concentrarmi sulle possibili vie d’uscita che potessero garantire a quel signore un’onorevole resa. «Signor Sforza, ha fatto la domanda all’Aler per un alloggio? Potrebbe essere una buona soluzione!».
Le mie parole sembrarono peggiorare la situazione e l’uomo parve persino più pallido e smagrito di prima. «Crede che non ci abbia pensato? Non ci sarebbero i tempi tecnici…graduatorie…accertamenti…burocrazia. Aler oggi è una parola vuota, una pura astrazione!».
Mi rassegnai a sperare che quel dialogo terminasse al più presto, anche perché in me stava crescendo una sottile ma fastidiosa inquietudine.
Tirai un sospiro di sollievo quando lo vidi raccogliere le carte che aveva portato con sé ed alzarsi dalla sedia, senza una parola.
Prima di sparire oltre la porta della mia stanza, mi rivolse uno sguardo di ghiaccio. «Avvocato, lei non farà proprio niente e io pagherò tutti gli arretrati!».
La saliva mi andò di traverso e cominciai a tossire. Non smisi neppure dopo che ebbi sentito sbattere l’uscio dello studio.
Dovetti bere un bicchiere d’acqua per calmarmi. La fifa aveva preso il sopravvento sulla professionalità. Avevo ancora davanti agli occhi quello sguardo tagliente e quel volto militare, consumato dalla tensione e dalla rabbia.
Il giorno dopo mi misi al lavoro sulla nuova pratica, col sottofondo di Trespass, l’album dei Genesis che preferivo.
La redazione di un atto di citazione per convalida di sfratto per morosità, con annesso decreto ingiuntivo per i canoni scaduti (3), era un lavoro rutinario nel quale non c’era il minimo spazio per la fantasia e la creatività individuale.
Afferrai la calcolatrice e mi appuntai la cifra di 9.350 euro. Era l’ammontare attualizzato del debito del Signor Sforza. La mia sensazione era che quella cifra sarebbe presto aumentata. Non c’è peggior arroganza di chi è convinto che gli altri debbano sopportare le proprie inadempienze in omaggio a generici principi di giustizia, peraltro del tutto soggettivi.
Ero arrivato alla terza pagina dell’atto, quando il mio cellulare trillò con affanno, come se avesse fretta d’essere ascoltato.
Sul display apparve il volto familiare di Piero Dotti. Non aveva l’aspetto attuale, canuto e segnato dal tempo, ma quello giovanile, all’esterno dei cancelli dello stadio di San Siro, con la sciarpa rossonera al collo ed un ragazzino accanto.
«Ale, devo parlarti. È urgente!».
«Dimmi, Piero».
«Devi fermare tutto!».
«Cosa?».
«Non fargli lo sfratto. Quello è un pazzo. Mi ha convocato a casa e mi ha mostrato una pistola. E sai cos’ha detto? Queste esatte parole: “…è già carica e aspetta il tuo avvocato, se mi farà lo sfratto…”. Non voglio crearti problemi, Ale. Lascia perdere. Troverò un altro modo di risolvere la questione».
All’udire quelle parole ebbi una risata nervosa, ma anche un sussulto d’orgoglio. Risposi d’istinto. «Ti ringrazio, Piero. Non ti preoccupare. Non saranno le minacce a fermarmi. Ho fatto un giuramento, quando sono diventato avvocato, e voglio rispettarlo. Se avessi paura farei un altro lavoro, credimi».
«Ale, sei come un figlio per me. Non farti problemi. Trovo un altro a cui scaricare la patata bollente, te lo giuro!».
Gli fui grato per la sensibilità che mostrava ma anche irremovibile: mi sarei occupato della pratica fino alla fine, ovvero fino all’uscita di casa di quel folle!
Dopo che la conversazione fu terminata, sentii l’esigenza di spalancare la finestra della mia stanza per respirare l’aria fredda della sera. “La prima minaccia che subisco in vita mia…per giunta fatta per procura!” pensai con desolazione. In fondo me l’aspettavo, visto lo sguardo iniettato di furore che quel signore mi aveva riservato per buona parte del nostro assurdo colloquio.
Tuttavia più ci pensavo più la paura si impadroniva di me, mentre la vampata d’orgoglio che aveva animato la mia prima reazione esauriva i suoi benefici effetti.
Bussai alla stanza di Paola e le raccontai l’accaduto. Mi sembrava giusto informarla, visto che lavoravo per lei. Speravo di trovare solidarietà, ma le cose andarono diversamente.
La mia capa mi fissò con sgomento. Sembrava perfino risentita. «Già dedichi fin troppo tempo alle tue pratiche e adesso mi rifili anche questa grana? Non voglio andarci di mezzo, sappilo!».
Provai invano a tranquillizzarla. «Non ci andrai di mezzo per niente, me la cavo da solo». Mentre lo dicevo pensavo che non era vero, che senza aiuto sarei stato inghiottito da un buco nero.
Non riuscii a calmarla e lei mi inquietò, con un rimprovero che pareva attingere ad un logoro stereotipo. «Io sono una donna, Ale. Devo essere difesa, non difendere. Ti pago per avere un aiuto, non per occuparmi dei tuoi guai. Se non hai le palle per risolvere i problemi da solo, allora hai sbagliato lavoro».
Quel rimprovero mi offese e voltai i tacchi, senza salutarla, prima che lei sbattesse la porta.
Mi infilai in bagno e mi misi davanti allo specchio. Quella faccia da bambino mi fece orrore. Ecco perché la gente mi attaccava, perché aveva la convinzione di mettermi paura, di manovrarmi. Avevo il classico aspetto del bravo ragazzo, terrorizzato dal concetto stesso di violenza. Le mie spalle inclinate, d’altra parte, sembravano incapaci di sostenere un qualsiasi peso diverso dallo zainetto che mi portavo dietro ogni giorno.
Tornai nella mia stanza e telefonai a Claudio, uno di cui ci si poteva fidare. Gli raccontai l’accaduto.
«Fregatene, Ale. Sai quante minacce ha subito mio padre? Quello è un disperato che spera di metterti paura. Fagli vedere che non ce l’hai e avrà perso la sua partita!».
“Facile a dirsi” pensai “ e difficile a farsi. Anche perché io non sono proprio capace di fingere”.
Quel consiglio non mi servì. Era troppo razionale. Avevo bisogno che qualcuno toccasse il mio boccale di birra con il suo e, mettendomi una mano sulla spalla mi sussurrasse all’orecchio: “sono pronto a difenderti!”.
Ne parlai a Claudia, a casa sua, quella sera stessa.
Lei mi accarezzò la mano. «Credo che col tuo lavoro queste cose succedano. Magari ti capiterà di nuovo. Non credi?».
«Già. Capiterà di nuovo. Questo è certo».
Mi guardò coi suoi occhi luminosi ed implacabili «Denuncialo!».
Sobbalzai sulla sedia. «Denunciarlo?».
«Proprio così. Mi sembra la cosa più ovvia del mondo. Non capisco perché tu ti stupisca».
“Bingo” pensai “Ha ragione: perché mi stupisco?”. In verità sapevo bene perché quelle parole, all’apparenza tanto logiche, mi avevano colto alla sprovvista. È proprio vero quello che si sussurra nei corridoi del Tribunale: “gli avvocati fanno cause per i clienti, quasi mai per sé stessi”. Così come i medici tendono a non assumere i farmaci che prescrivono ai propri pazienti. Forse c’è di mezzo un fisiologico scetticismo per i meccanismi della giustizia, sia civile sia penale. O forse ne abbiamo abbastanza della litigiosità dei clienti e riteniamo sia un grave peccato aggiungerci la nostra personale.
Stava di fatto che non avrei mai sporto denuncia.
Andai a letto con un’angoscia assordante, unita alla facile previsione di una notte insonne.
Saranno state le due, quando un bagliore di luce, come in un gioco di ombre cinesi, disegnò, sulla parete opposta al letto, il profilo spigoloso di un volto.
Accesi la luce e balzai sui gomiti, con un pensiero fisso e sconcertante: “Zio Arturo, chi meglio di lui per togliermi di dosso la paura?”. In effetti l’arroganza di una minaccia andava combattuta con altrettanta arroganza, non con filosofie strampalate sul diritto di difesa e sugli obblighi deontologici dell’avvocato.
Gli telefonai al mattino, prestissimo. Lui fu irremovibile: avremmo dovuto parlarne davanti ad una buona cena di pesce, al ristorante “Da Lorenzo”. «Pago io». Sibilò come uno che non ammette repliche. E io non replicai.
Ci trovammo alle venti in punto al solito tavolo, quello d’angolo.
Lo zio fu molto affettuoso ed ordinò subito due calici di prosecco, per un brindisi di benvenuto.
Avevano già servito l’antipasto di mare, quando Arturo mi fulminò con uno sguardo furbo. «Ho la soluzione al tuo spiacevole incidente di percorso».
«Ah sì? e quale?».
Lui si dilungò nei preamboli. «Quando sei impegnato a risolvere un problema devi sforzarti di esaminare i fatti da ogni possibile angolatura. Devi fissare la scacchiera prima dal tuo lato, poi da quello del tuo avversario, per trovare il punto di equilibrio».
Io non avevo tempo per gli indovinelli e lo incalzai. «Quindi?».
«Quindi, ho buoni amici all’aler. Muoverò le mie pedine e vedrai che quel signore avrà in pochi giorni una casa confortevole. Ti lascerà in pace. Di più, ti ringrazierà!». Sollevò il calice, per il secondo dei suoi adorati brindisi.
Io contemplai a bocca aperta uno scenario invisibile e sconvolgente in cui alle minacce si contrapponevano i benefici un po’ mafiosi del più becero clientelismo. “Siamo a posto” pensai con orrore “di questo passo il diritto diventerà una specie di mercato delle vacche”. E avvicinai al suo calice il mio, colmo di rassegnazione.
Portai alle labbra quel cioccolatino belga con gesti incerti, nel timore che potesse essere avvelenato. La scatola era accompagnata da un biglietto
GRAZIE DEL SUO AIUTO, AVVOCATO
La firma Enrico Sforza era rotonda e nitida.
Il cioccolatino aveva un gusto amaro, come la constatazione che una vile minaccia aveva prodotto il massimo possibile risultato: la paura mi aveva spinto a darmi da fare e quello spregevole signore aveva sottratto una casa popolare a qualche famiglia più meritevole della sua.
Odiavo anche ammettere che l’aiuto di zio Arturo era risultato decisivo, un’altra volta: forse per tirare avanti a questo mondo occorreva avere già sorbito qualche goccia del veleno della vita, riuscendo a sopravvivere e diventandone così immune?
Riposi la scatola dei cioccolatini in un cassetto e pensai che non mi sarei mai arreso alla giustizia del più forte, del più furbo o del più arrogante. Sentivo l’esigenza di una boccata di aria fresca, di recuperare gli ideali che mi avevano animato in Università, spingendomi a scrivere articoli sulle libertà fondamentali dell’uomo per la rivista di facoltà.
Fu allora che Claudio mi telefonò. «Perché non apriamo uno studio tutto nostro?».
Rimasi di sasso. «Dici sul serio? Ma tu sei un figlio di papà, potresti ereditare lo studio di famiglia…mi sorprendi, lo sai?».
«Bisogna guardare all’oggi, Ale. E poi io accanto a papà non mi sento valorizzato».
Ci misi un istante a dirgli di sì. Avevo scoperto quanto fosse inopportuno affrontare i pericoli della professione da solo. E poi Claudio era la persona giusta. Era onesto, preparato, serio e per di più era il mio migliore amico.
Quando spensi il cellulare, già sognavo ad occhi aperti la fase tre della mia vita professionale, quella forse decisiva, quella con scritto sopra: “Niente paura. Sei artefice del tuo destino e non sei da solo”.
Sfratto per morosità
Lo sfratto per morosità è un procedimento che consente al locatore (spesso, il “padrone di casa”, ma talvolta anche il possessore dell’alloggio) di poter ottenere il rilascio e la riconsegna dell’immobile da parte del conduttore (l’affittuario, o inquilino), libero da persone e/o cose, in seguito all’accertamento da parte del giudice di una morosità in capo a quest’ultimo nel pagamento del canone pattuito (ovvero, in taluni casi e a determinate condizioni, delle spese accessorie). Si tratta di un procedimento speciale, vale a dire atipico e differente dall’ordinario, tendenzialmente più rapido rispetto alle altre procedure, azionabile nel caso di persistente carenza nei pagamenti degli affitti o delle spese accessorie.
È disciplinato dall’art. 658, comma 1 c.p.c. . La norma stabilisce che: “il locatore può intimare al conduttore lo sfratto, anche in caso di mancato pagamento del canone d’affitto alle scadenze, e chiedere nello stesso atto l’ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti”. Si introduce a mezzo della notificazione al debitore di atto di citazione a comparire ad udienza fissa e, a differenza delle altre azioni esperibili in tema di locazione, non deve necessariamente essere preceduto dalla procedura di mediazione obbligatoria. La causa può essere iscritta a ruolo il mattino stesso dell’udienza indicata in citazione.
Il primo dei due presupposti fondamentali per l’attivazione della procedura di sfratto per morosità è legato alla esistenza tra le parti di un regolare contratto scritto di locazione immobiliare ad uso abitativo o commerciale ritualmente registrato presso i competenti uffici. Ne deriva che, di contro, non è possibile ricorrere all’azione di intimazione di sfratto di cui all’art. 658 c.p.c. sulla base – ad esempio – di un mero accordo verbale sussistente tra il proprietario ed il conduttore.
Il secondo dei due presupposti, che abbiamo definito come “fondamentali” per poter avviare la procedura di sfratto per morosità, consiste nel mancato pagamento del canone di locazione, la cui misura viene stabilita – per gli immobili ad uso abitativo – dalla legge sull’equo canone, la l. 392/1978, nella singola mensilità decorsi 20 giorni dalla scadenza prevista, o – nel termine previsto – dal mancato pagamento degli oneri accessori se l’importo non pagato supera quello di due mensilità del canone.
Tale ultimo criterio trova applicazione per le sole locazioni ad uso abitativo, mentre non è valido per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo, come quelle commerciali.
Per le locazione ad uso diverso da quello abitativo si applica il disposto normativo di cui all’art. 1455 c.c. La detta norma statuisce che il contratto non si risolve se l’inadempimento della parte morosa ha scarsa importanza, avendo riguardo all’interesse dell’avente diritto alla prestazione. Con tale formula si fa ricorso al principio generale della giustizia civile dell’essenzialità del termine previsto in favore del creditore della prestazione.
Trattandosi di una definizione sfuggente e non quantitativamente declinata, come avviene nel caso delle locazioni abitative, dovrà essere il giudice a valutare in concreto l’importanza dell’inadempimento nel quale è incorso il conduttore, avuto riguardo al concreto interesse delle parti. La giurisprudenza oramai consolidata indica tuttavia che lo stesso principio già visto per le locazioni abitative, di cui alla l. 392/1978, può essere un parametro orientativo anche per le locazioni ad uso non abitativo. Pertanto possiamo concludere che la mora non può essere inferiore ad una mensilità di canone o a spese accessorie impagate pari ad almeno due mensilità del suddetto canone.
Per quanto attiene la legittimazione attiva, ex latere actoris, alla procedura, appare chiaro come essa spetti al locatore. La figura di questi può coincidere con il proprietario del bene, ma può non identificarsi necessariamente con quest’ultimo. E’ pacifico che il contratto di locazione possa essere stipulato da chiunque abbia la disponibilità della cosa locata, sulla base di un titolo o di un rapporto giuridico. Il locatore, a qualsiasi titolo agisca, deve tuttavia necessariamente essere titolare della facoltà di trasferire al conduttore la detenzione o il godimento del bene. Sono legittimati ad agire in sede di sfratto per morosità altresì l’erede o il legatario, in caso di decesso dell’avente diritto, ed il comproprietario del bene. In tale ultima ipotesi, tuttavia, è escluso il caso in cui vi sia un manifesto dissenso da parte degli altri comproprietari. Di contro, come intuibile, è il conduttore la parte cui spetterà la legittimazione passiva.
Per quanto concerne il procedimento di sfratto per morosità, generalmente il primo passo consisterà nell’invio di una lettera di diffida da parte del locatore, una volta valutata la persistente morosità del locatario (decorsi almeno venti giorni dalla scadenza della prima mensilità non pagata). L’invio di questa comunicazione è di solito effettuato per raccomandata con ricevuta di ritorno (o avvalendosi di strumento equiparabile, anche digitale, come la PEC), a mezzo della quale si sollecita il pagamento dei canoni oggetto di morosità, ponendo un termine di riferimento trascorso il quale il locatario è invitato a lasciare libero da persone e cose l’immobile , pena il ricorso alle vie giudiziali.
Nel caso in cui la diffida non sortisca gli effetti sperati dal locatore, costui agirà con un atto di intimazione di sfratto per morosità, e contestuale citazione in udienza per la convalida (il tribunale competente è quello nella cui circoscrizione si trova la cosa locata), e con ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti. Il termine a comparire concesso al conduttore (ovvero il torno di tempo minimo che deve intercorrere tra la data della notifica della citazione al destinatario ed il giorno dell’udienza) è particolarmente breve: solo quindici giorni, in luogo del termine ordinario di almeno novanta (aumentato a centoventi a seguito della c.d. riforma Cartabia). Si badi altresì che, per la maggior speditezza del giudizio, non opera l’interruzione dei termini nel mese di agosto (applicandosi il rito del lavoro). Pertanto sarà ben possibile che Tizio notifichi a Caio il 23 Luglio un atto di citazione in giudizio per convalida di sfratto per morosità con udienza fissata per il 14 Agosto.
Nella maggior parte dei Tribunali italiani, stante l’affollamento delle aule e la sovrabbondanza di questo tipo di procedure, è necessaria/utile la previa prenotazione dell’udienza da parte del difensore della parte intimante lo sfratto.
Ricevuta notifica della citazione per convalida di sfratto, il conduttore potrà:
- presenziare all’udienza e formulare opposizione alla convalida dell’intimato sfratto, a mero titolo esemplificativo contestando la propria morosità e dimostrando di avere saldato tutte le pregresse mensilità, contestando la regolarità del contratto, allegando patti aggiunti contemplanti diversi accordi con riduzione del canone, eccependo l’inabitabilità dell’alloggio, eccependo in compensazione danni patiti all’interno dell’immobile per infiltrazioni di acqua piovana etc;
- presenziare all’udienza e saldare la morosità, facendo venir meno il titolo per lo sfratto (ovviamente la morosità può essere saldata dal conduttore anche anteriormente all’udienza di convalida);
- presenziare all’udienza e domandare al giudice il termine di grazia di massimo novanta giorni per sanare la morosità (solo in caso di locazione ad uso abitativo, a tutela del diritto ad una abitazione);
- scegliere di non presenziare all’udienza.
Cosa accadrà in ognuna di queste ipotesi?
Se il conduttore si presenta all’udienza e formula opposizione alla convalida, il giudice dovrà decidere (come normalmente avviene) se concedere o meno al proprietario, a sua richiesta espressa, l’ordinanza provvisoria ed immediatamente esecutiva di rilascio dell’immobile. Contestualmente disporrà il mutamento del rito, fisserà all’intimante un termine perentorio per avviare la procedura di mediazione, concederà alle parti termini istruttori e fisserà udienza di ammissione di prove.
Qualora, invece, il conduttore scegliesse di presenziare all’udienza e saldare la morosità, il procedimento si concluderà – come presumibile – con la migliore soddisfazione da parte del locatore e con l’estinzione della procedura. In effetti, all’udienza di comparizione delle parti per la convalida dello sfratto per morosità, il difensore del creditore intimante, per poter insistere nella propria domanda ed evitare l’estinzione della procedura, dovrà mettere a verbale la circostanza che la morosità in capo al conduttore persiste.
Qualora il conduttore presenzi e, nel caso di locazioni ad uso abitativo, chieda al giudice il termine di grazia (cioè un periodo entro il quale saldare il proprio debito), il giudice valuterà se assegnare un termine non superiore a 90 giorni (normalmente lo concede). L’udienza sarà rinviata ad altra sessione, non posteriore al decimo giorno successivo alla scadenza del termine assegnato. Alla successiva udienza il Giudice verificherà il tempestivo saldo del debito da parte del soggetto intimato. In caso affermativo estinguerà la procedura, in caso negativo convaliderà lo sfratto. Il locatore ha diritto di rifiutare il pagamento, anche parziale, da parte del conduttore successivo al termine di grazia fissato dal giudice.
Vi è inoltre la possibilità che il locatore possa ricorrere all’apposito fondo per le morosità incolpevoli.
La morosità incolpevole deve essere riconducibile ad una delle seguenti cause: perdita di lavoro da parte del conduttore (mancato rinnovo del contratto, licenziamento, messa in mobilità, cassa integrazione etc); infortunio ovvero malattia che abbia colpito un componente del nucleo familiare. Ogni Comune, per queste evenienze, appronta strumenti di tutela relativi alla proroga dei contratti in essere, garantendone con propri fondi almeno in parte l’esecuzione (in altre parole il pagamento del canone).
Il riconoscimento, in capo al soggetto sfrattato, della morosità incolpevole impedisce l’esecuzione forzata dello sfratto e la concessione della forza pubblica, anche se esso è già stato precedentemente convalidato.
Se infine il conduttore non si presenta, o si presenta all’udienza ma sceglie di non fare opposizione, il giudice verificherà la sussistenza dei presupposti per la convalida. Emetterà quindi, all’esito di un esame positivo, una ordinanza di convalida di sfratto. Sarà in tal sede stabilita la data a partire dalla quale si potrà ottenere il rilascio forzato dell’immobile mediante intervento dell’ufficiale giudiziario.
Una volta che è stata emessa l’ordinanza, che costituisce un titolo esecutivo per il rilascio, se il conduttore moroso non adempie entro la data che è stata stabilita dal giudice, il locatore – previa notifica dell’atto di precetto – e decorso un termine non inferiore a 10 giorni, potrà procedere con la monitoria di sgombero. Si tratta di una procedura di esecuzione forzata condotta dall’ufficiale giudiziario. Questi, nel termine indicato al conduttore, si recherà personalmente presso l’immobile per poter eseguire lo sfratto e immettere nuovamente il locatore nel possesso del bene, previamente liberato da cose e persone. L’ordinanza di convalida di sfratto determina la risoluzione del contratto di locazione che, per l’effetto, diverrà inefficace ed improduttivo di effetti. Sarà cura del locatore, una volta ottenuto il provvedimento terminativo del rapporto, attivare presso i competenti uffici la procedura di “chiusura del contratto”.
Contratto quattro + quattro
Il Contratto di Locazione cd. 4+4 è un negozio giuridico bilaterale con il quale una parte (locatore) mette a disposizione dell’altra (conduttore o “inquilino”) un immobile per un periodo di tempo di 4 anni, con la possibilità di rinnovo per altri 4. Si tratta dello schema legale di rapporto locatizio, in caso di locazione ad uso abitativo.
Il nome comune di contratto 4+4 deriva proprio dalla particolare disciplina di durata e rinnovo. Una locazione abitativa con canone libero, infatti, non può avere per legge una durata inferiore ai 4 anni (a garanzia del diritto alla casa in capo al conduttore, ritenuto il soggetto debole del rapporto). Alla prima scadenza il contratto si rinnova automaticamente per altri 4 anni, per una durata complessiva, per l’effetto, di 8 anni.
Vi sono, tuttavia, ipotesi nelle quali è possibile evitare che il contratto si rinnovi dopo i primi 4 anni, e precisamente:
- di comune accordo: le parti potranno in qualsiasi momento accordarsi per modificare il loro contratto di locazione, modellandolo su altri schemi negoziali (come, a mero titolo esemplificativo, il contratto di locazione ad uso abitativo transitorio);
- disdetta del conduttore: l’inquilino ha sempre il diritto di non rinnovare il contratto dopo i primi 4 anni, comunicando per iscritto al locatore le sue intenzioni con un preavviso di almeno 6 mesi.
- disdetta del locatore: il proprietario ha la facoltà di non rinnovare il contratto dopo i primi 4 anni solo in alcuni casi tassativamente previsti dalla legge, comunicando al conduttore la motivazione per iscritto con almeno 6 mesi di preavviso. I casi sono i seguenti:
- volontà di vendita dell’immobile a terzi, ma solo se il locatore non possiede altri immobili ad uso abitativo oltre a quello in cui abita; L’inquilino, in tale ipotesi ha il diritto di prelazione;
- destinazione dell’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale suo o di un parente entro il 2° grado;
- ristrutturazione dell’immobile.
Una volta trascorsi gli 8 anni, il contratto verrà rinnovato per un nuovo periodo di 4 anni alle medesime condizioni del contratto originario, in difetto di previa tempestiva disdetta. Se una delle parti non ha interesse a rinnovare il contratto deve darne comunicazione per iscritto almeno 6 mesi prima della data di scadenza.
Attenzione: la normativa relativa alla durata del contratto è imperativa, nel senso che non è derogabile in base alla diversa volontà delle parti. Pertanto le clausole difformi sul punto saranno ritenute invalide e quindi tamquam non esset.
Decreto ingiuntivo per canoni scaduti
Il codice di procedura civile, in caso di morosità dell’inquilino, mette a disposizione del locatore strumenti appropriati per provvedere al recupero di canoni scaduti non pagati e del proprio appartamento.
Le forme di tutela sono il decreto ingiuntivo e la procedura di sfratto per morosità (come abbiamo già visto al paragrafo precedente).
Con l’intimazione per convalida di sfratto, come previsto dagli art. 658 e 664 c.p.c., il locatore può chiedere contestualmente (per un principio di snellezza ed economia processuale) anche l’emissione di un decreto ingiuntivo di pagamento, che ha per oggetto i canoni di locazione scaduti. Questi comprendono anche quei canoni che scadranno fino all’effettivo rilascio dell’immobile da parte del conduttore.
Per il recupero dei canoni di locazione non pagati, quindi, il creditore potrà chiedere al giudice di emettere un decreto ingiuntivo dell’importo pari a tutti gli arretrati non versati, maggiorati degli interessi maturati nel frattempo e delle spese legali. Sarò onere del richiedente allegare al ricorso il contratto registrato.
Il decreto ingiuntivo emesso dal giudice è immediatamente esecutivo. Con esso si intima al debitore di provvedere al pagamento della somma di denaro stabilita entro un lasso di tempo di 40 giorni. Entro il detto termine il conduttore può opporsi all’intimazione. In difetto di opposizione il decreto diverrà definitivo e non più impugnabile. L’opposizione non si formula con notifica di atto di citazione ma con deposito e contestuale iscrizione a ruolo di ricorso.
Il decreto ingiuntivo è munito di formula esecutiva che legittima il locatore ad agire contro il conduttore mediante esecuzione forzata e consente di ottenere anche il pignoramento dei beni del debitore, previa notifica di un atto di precetto con l’invito a provvedere al pagamento nei 10 giorni successivi.
L’avvocato scrupoloso avrà cura di suggerire, al cliente che a lui si rivolge, quale locatore, per una pratica di sfratto per morosità, di attendere il formarsi in capo al conduttore di una morosità estesa a più mensilità e suscettibile di fondare il sospetto di una stabile e radicata volontà di non pagare i canoni ovvero di una effettiva impossibilità di farlo. Ciò sia al fine di non affollare le aule di giustizia, già gravate da un pesante carico di lavoro, sia per evitare iniziative giudiziarie precipitose, che possano gettare nel terrore di perdere la casa famiglie che versano in difficoltà economiche solo momentanee e superabili in breve tempo.
L’avvocato coscienzioso avrà cura, altresì, di far precedere l’iniziativa giudiziaria dall’invio al debitore di una diffida di pagamento dei canoni scaduti con il riconoscimento di un congruo termine per provvedere.
D’altra parte, ed in senso diametralmente opposto, l’avvocato diligente e scrupoloso avrà cura di chiedere per tempo all’ufficiale giudiziario (generalmente al secondo/terzo accesso) di procurare la presenza della forza pubblica per l’esecuzione coattiva dell’obbligo di rilascio. L’avvocato dovrà altresì garantire, con spese anticipate a carico del proprio assistito, la presenza presso l’unità locata di un fabbro per il cambio della serratura. Capita talvolta che l’avvocato debba altresì, ove vi sia sospetto che anche pretestuosamente l’intimato opponga un vero o presunto stato di malattia e rifiuti d’essere trasportato in ambulanza, allertare medici della ASL, al fine di valutare l’effettivo stato di salute del conduttore. E’ capitato infine, in questa casistica certamente non esaustiva, che si renda necessario assumere decisioni circa la custodia di animali domestici.
Va detto conclusivamente che la disciplina dello sfratto per morosità, fondata su pesi e contrappesi, è frutto del tentativo di comporre il conflitto tra la tutela del diritto alla proprietà e l’esigenza di tutelare la vita delle famiglie ed il diritto alla casa.