Diritto Civile e Diritto Penale
L’usuraio
Alberto era stato mio vicino di banco al liceo per tre anni, il quarto l’avevano bocciato. Era un tipo ruvido, dai modi aspri, ma non mi dispiaceva la sua compagnia, perché le cose antipatiche te le diceva in faccia e non alle spalle come la maggior parte delle persone. Mi raccontarono che si era laureato in economia e commercio e che era stato assunto in un prestigioso studio di tributaristi. Seppi però che il suo caratteraccio e la sua impulsività lo avevano fregato: aveva rotto col fratello maggiore perché era gay e si era abbandonato al suo vizio delle scommesse. Aveva anche perso il lavoro.
Così, quando mi telefonò, in un afoso pomeriggio di luglio ed esplose tra le lacrime. «Sono disperato, Ale. Sono sull’orlo di un baratro». Gli credetti all’istante e non pensai nemmeno per un secondo che stesse esagerando.
Arrivai a casa sua quella stessa sera, con una bottiglia di Rhum ben stretta nella mano destra, perché conoscevo bene i suoi gusti.
L’essere che mi aprì la porta era più simile ad un triste fantasma che al mio leggendario compagno di avventure scolastiche, tanto era pallido e magro. «Grazie di essere venuto. Solo tu puoi aiutarmi». Quella frase mi mise ansia. Non amo chi si aggrappa a me come fossi un salvagente, perché sono convinto che saremmo in due ad affogare.
Gli consegnai la bottiglia. «Cosa succede, Albe?».
Lui mi fece accomodare in sala, su una poltrona senza molle, davanti ad un gigantesco televisore spento.
«Ho dei debiti. Sai…quel maledetto vizio delle scommesse. Mi sono ridotto a scommettere anche sulle partite del campionato slovacco».
Lo fissai preoccupato, per lui, ma soprattutto per me e per le mie ancor magre finanze. «Di quanto sei sotto?».
«Diciassettemila».
Avvertii una fitta al petto, come se la lama di un coltello mi lacerasse la carne. Pensai ai viaggi che stava programmando Claudia e scossi la testa, atteggiando il volto ad un’espressione contrita. «Non ce la faccio. Non posso aiutarti. Le spese di studio…».
Lui mi afferrò un braccio. «Non è per questo che ti ho chiamato».
«E per cosa?».
«Mi sono rivolto ad un usuraio».
Sentii un moto di ribellione squassarmi il petto. Ho sempre odiato quei parassiti che approfittano dei problemi altrui per ingrassare le proprie finanze. Gli ho sempre ritenuti degli sciacalli, degli strateghi cinici e senza cuore, affamati del dolore delle loro povere vittime.
«Hai sbagliato. Sono certo che ci sono altre strade, oltre all’usura».
«Ah sì? E quali?».
«Tuo padre, ad esempio. Ti ha sempre ammirato. Sono sicuro che lui sarebbe disposto ad aiutarti».
Alberto reclinò il capo, con un gesto lento e mesto. «Mi ha già finanziato una volta. Ho dovuto promettergli che non gli avrei più chiesto prestiti. Da allora sono passati solo sei mesi».
Lo scrutai negli occhi, con incredulità. «Ci sei ricascato dopo soli sei mesi? Guarda che la ludopatia è una vera malattia. Se la riconosci la curi. C’è una terapia specifica per liberare dal vizio del gioco».
Alberto riempì con gesti nervosi il primo calice di Rhum. «Così non mi aiuti. Gli avvocati dovrebbero sapere bene che non si giudica il prossimo. Pensa se io andassi dal mio medico con un tumore al fegato e lui mi rinfacciasse che bevo troppo!».
Ebbi un moto di stizza. «Che paragoni fai? Ma cosa c’entra? La prima cosa è non fare nuovi debiti. Al peggio non c’è mai fine, lo sai?».
«Hai ragione». E buttò giù altro Rhum.
Cercai di essere meno accusatorio. «Che interesse pretende l’usuraio?».
«Lui mi consegna ventimila euro in contanti e gli devo firmare cambiali per il doppio. Venti cambiali, una al mese, da duemila ciascuna. Bello stronzo, vero?».
Feci un sorriso amaro. «Francamento non penso esista un usuraio che possa definirsi: non stronzo».
«Già».
Mi sembro giusto abbandonare i panni dell’amico per vestire quelli dell’avvocato. «I debiti sono carta straccia se tu non hai beni intestati, in questo caso puoi festeggiare. Cosa possono pignorarti?».
Il mio amico si guardò attorno e allargò le braccia. «Tutto questo. Mio padre mi ha intestato questo appartamento».
Constatai che si metteva peggio di quanto pensassi e giocai le mie carte una dopo l’altra, ma invano. Non poteva chiedere un mutuo bancario e neppure un prestito a una finanziaria perché era iscritto da tempo nel registro nero dei cattivi pagatori. Non aveva un amico in possesso di una somma tanto rilevante. Il TFR del lavoro presso lo studio dei tributaristi? Era stato congelato, in acconto sul risarcimento che i suoi capi pretendevano per gli svariati errori professionali che avevano portato al suo licenziamento in tronco, per giusta causa. Evidentemente l’incubo dei debiti e il senso di fallimento personale avevano mandato in tilt il suo cervello.
Dunque, non sembrava esistere via d’uscita. Riflettei con amarezza a quanto è dura l’esistenza per coloro che hanno contratto debiti che non possono pagare. Rischiano di essere dei morti civili, radiati dalla società, etichettati come senza diritti.
Ma perché, mi chiesi, dobbiamo spendere in armi invece che nello stato sociale? Perché pensiamo all’ombrello nucleare invece che a quello che potrebbe proteggere i patrimoni dei soggetti più fragili?
L’intellettualismo, si sa, porta spesso all’arroganza e io sbagliai la successiva mossa. L’ansia di rendermi utile ad ogni corso mi mandò fuori strada. «Albe, sappi che se pensi di farti nominare un amministratore di sostegno potrai contare su di me».
Il Rhum gli andò di traverso. Cominciò a tossire e a diventare viola in volto e io temetti di essere imputabile moralmente di omicidio colposo, se il mio amico non si fosse ripreso. Quando per fortuna di entrambi si riebbe mi ferì con due occhi appuntiti. «Vorresti farmi da amministratore di sostegno?».
Io gli feci segno di lasciar perdere.
La bottiglia di Rhum era quasi vuota, senza che io ne avessi bevuto una sola goccia¸ quando mi decisi a fare la domanda che aleggiava nell’aria stantia e pregna di fumo di quel salotto dall’istante del mio arrivo. «Cosa posso fare per te? Perché mi hai chiamato?».
Lui frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse il pacchetto delle sigarette. «Vorrei che tu preparassi una carta da far firmare al bastardo. Non voglio che alla prima cambiale non pagata quello mi crei dei casini. Voglio fargli firmare che oltre a quelle cambiali non gli devo più un cazzo. Che si dimenticherà di me per sempre».
Rimasi sorpreso da quella richiesta quasi banale, ma gli promisi che mi sarei messo al lavoro.
«Quando avverrà lo scambio?».
«Tra una settimana, Ale. Hai tutto il tempo».
Gli strinsi la mano sulla porta di casa. «Una settimana, per così poco…vorrei fare di più per te».
«A posto così. La tua vicinanza mi rende tranquillo».
Prima che la porta dell’ascensore ci separasse, gli promisi che mi sarei spremuto le meningi e che lo avrei contattato se mi fosse venuta l’idea giusta.
Camminai fino a casa, rimuginando i pochi rudimenti di diritto che mi sovvenivano: “l’usura è un reato punito da una grave pena detentiva…a chi presta denaro a interessi usurari è dovuto solo il capitale, mentre nulla gli spetta a titolo di interessi…”. Provai un senso di frustrazione al pensiero che tutto ciò non sarebbe stato di alcun aiuto ad Alberto. Le parole di zio Arturo, il mio indiscusso mentore, apparvero come un mantra sul display della mia mente:
IL DIRITTO NON E’ UN CONCETTO ASTRATTO
E’ FACCE, CARNE E SANGUE
LE FACCE, LA CARNE E IL SANGUE DI CHI INVOCA GIUSTIZIA
A cena fui la muta controfigura di me stesso, tanto che Claudia fu costretta a darmi un pizzicotto. «Ale, perché non sei con me?»,
Finsi sorpresa. «Non sono con te?».
Lei si piegò verso di me. «A cosa stai pensando?»,
Vuotai il sacco su ciò che era capitato ad Alberto, che lei non conosceva neppure per sentito dire, e espressi tutti i tormenti che la parola DEBITI evocava nel mio animo. «I debiti sono un buco nero. Tu lotti per non caderci dentro, ma loro sono più forti e ti risucchiano».
Lei si produsse in una inutile filippica su quanto fosse stupido spendere denaro in scommesse.
Io preferii darle ragione.
La notte faticai a prendere sonno. Mi agitai nel letto, tanto che Claudia si impegnò a massaggiarmi le spalle, con le sue mani che profumavano di quella infinità di essenze a cui ricorreva con cieca fiducia.
Alle due di notte, sulla parete di fronte al letto, si materializzò un’ombra che catturò la mia attenzione…e io divenni Alessinik, la parte oscura di me stesso, quella dedita agli intrighi, dominata da un simpatico demone convinto che la furbizia sia la dote più importante per un uomo. Elaborai una strategia tanto azzardata quanto potenzialmente redditizia. Pensai che Alberto avrebbe potuto far sottoscrivere all’usuraio un vero e proprio contratto, ricevendo il denaro e consegnando le cambiali. Il giorno successivo lo avrei accompagnato in polizia, con la prova documentale inequivocabile dell’usura, a formalizzare la denuncia e a chiedere l’immediato sequestro delle cambiali. Le conseguenze sarebbero state paradossali, un vero rovesciamento delle parti: Alberto si sarebbe trovato in tasca ventimila euro, senza aver dato niente in cambio. Un piano perfetto, senza punti deboli. Sorrisi della mia astuzia. Truffare gli usurai? Sarebbe stato un perfetto esempio di legittima difesa. E riuscii ad addormentarmi.
La sera successiva mi recai a casa di Alberto, per illustrargli la mia idea e spingerlo ad agire con risolutezza.
Lui mi guardò con occhi rassegnati e scosse la testa. «Non lo posso fare».
«E perché no?».
«Non posso fare questo a Carlo».
Aggrottai la fronte. «Carlo? Ma parli di tuo fratello?».
«Precisamente».
«E cosa c’entra tuo fratello con questa storia?».
«È da lui che prenderò i soldi ed è a lui che darò le cambiali».
Rimasi sbigottito. L’educato, elegante, raffinato Carlo…un usuraio? Il rapporto carnefice/vittima si ribaltava, invertendo i ruoli?
Alberto annuì. «Credo che voglia farmela pagare, darmi una lezione. In fondo lo capisco. Ma non ho scelta. Ho bisogno di quel denaro e lui ne ha tanto. È un architetto affermato».
Ma tu guarda quanto è strana la vita, riflettei. Quel ragazzo pallido, smilzo e goffo, curvo sotto il peso del suo zaino, che sembrava aver paura della sua stessa ombra. All’improvviso assumeva l’aspetto di un avvoltoio, pronto a lanciarsi famelicamente sulla sua preda.
Presi atto con rammarico che la mia idea non era attuabile. «E va bene, Albe, facciamo come dici tu. Ti preparo le due righe che mi hai chiesto».
Mi ringraziò ed insistette perché mi fermassi a cena. Non me la sentii di rifiutare l’invito e, con mia grande sorpresa, passai una serata molto divertente. Ci perdemmo nei ricordi del liceo, tra battute e nostalgie, e rividi nei suoi occhi il bagliore furbo del mio vicino di banco. Mi augurai di tutto cuore che riuscisse a risolvere i suoi problemi.
Erano le venti e Claudia si sbellicava davanti alla tv, nel vedere l’ultimo film di Checco Zalone, il suo attore preferito.
Io ero chino sul pc, a scrivere quelle inutili clausole a garanzia di Alberto, quando, all’improvviso, fui scosso da un palpito di ribellione a quell’ingiustizia inaccettabile.
Carlo avrà pure subito dei torti dal fratello, pensai, ma adesso si sta comportando come un criminale. Sentii di non poter essere complice di quell’odioso reato. Così mi risolsi a scrivere il testo di un vero e proprio contratto di mutuo e una denuncia per usura. Ero testardo e mi convinsi che il giorno successivo sarei riuscito a far cambiare idea al mio amico e lo avrei accompagnato al più vicino posto di polizia.
Incollai gli occhi allo schermo del pc e digitai compulsivamente sulla tastiera, senza sollevare lo sguardo, benché, due ore dopo, Claudia, sbuffando, mi avesse annunciato che mi avrebbe aspettato a letto.
Quando ebbi terminato di scrivere la denuncia, fui molto soddisfatto del mio lavoro. Davanti ai miei occhi avevano preso vita una decina di fogli ben determinati a reclamare giustizia. Non mi restava che presenziare, il pomeriggio successivo, al rendez-vous tra fratelli.
Alle diciotto del giorno dopo, un sabato di fine luglio, uscii puntualmente di casa con la mia ventiquattro ore di pelle per recarmi da Alberto. Decisi di non andarci a piedi bensì in auto, per godermi l’aria condizionata.
Dopo un paio di incroci infilai la scorciatoia di uno stretto vicolo a senso unico, un vero pertugio scavato tra gli edifici circostanti. Fu un errore fatale. Dopo una ventina di metri, le mie orecchie furono devastate da un rombare di clacson e di grida di gente che inveiva con furia. Vidi davanti a me una fila di veicoli incolonnati e fermi. Un paio di persone erano persino scese dall’auto gridando e agitando pugni. Sentii riverberare nell’aria vaporosa persino minacce di morte.
Allarmato, scesi io stesso dalla Nissan Micra verde e feci qualche passo verso il veicolo che mi precedeva. Intravidi un grosso furgone bianco parcheggiato con le quattro frecce in corrispondenza di un passo carraio. La strada era tanto stretta e il furgone così voluminoso che non ci sarebbe stato spazio nemmeno per un pedone. Consultai l’orologio con apprensione e scrissi un messaggio ad Alberto avvertendolo che avrei potuto tardare. Accelerai il passo verso la Nissan Micra. Mi sarebbe bastato fare una sporca di venti metri in retromarcia per cambiare strada, ma con costernazione mi avvidi che dietro la mia vettura si era frattanto formata una colonna di veicoli strombazzanti. Allora mi rassegnai ad attendere, con l’aria condizionata accesa e la radio che trasmetteva i successi dell’ultimo festival di Sanremo.
Dovetti attendere un’infernale mezz’ora, tamburellando sul volante, tra imprecazioni e clacsonate, finché dall’attiguo palazzo uscì un grassone in canottiera, che alzò le mani in segno di resa, saltò a bordo del furgone e mise finalmente in moto.
Procedetti a passo d’uomo fino alla fine del vicolo, con le mani che mi tremavano per il nervosismo e appena fu possibile diedi gas e accelerai.
Feci il più in fretta possibile. Inchiodai in doppia fila, all’altezza del civico di Alberto e discesi dall’auto in un balzo. Varcai di corsa il portone del vecchio palazzo e salii le scale condominiali a due gradini per volta, facendo leva sul corrimano, per essere ancora più rapido.
Al secondo piano intravidi la porta di Alberto spalancata, mentre un signore sulla trentina, allampanato e in maniche di camicia, usciva dall’appartamento. Notai distintamente che armeggiava con delle carte per infilarsele in tasca. Non ebbi dubbi sul fatto che si trattasse delle cambiali incriminate. Non riconobbi subito Carlo, anche se la fisionomia di quel signore mi parve senz’altro compatibile. Poi lo vidi sfilarmi accanto, strisciando come un verme lungo il muro e non ebbi più alcun dubbio che si trattasse di lui, per via dell’incarnato pallido e della schiena piegata sotto un peso invisibile.
Volli trafiggerlo con uno sguardo ostile. «Carlo, fermati subito». Esordii con la mia voce che risuonava col fragore di uno sparo. «Sono l’avvocato di tuo fratello. Sono Alessio Mayer. In borsa ho delle carte che dovresti leggere e firmare».
«Lascialo andare, Ale». La voce di Alberto risuonò all’improvviso, mentre Carlo spariva alla mia vista, oltre la prima rampa di scale.
Seguii il mio amico oltre la soglia del suo appartamento e subito notai, a terra, innumerevoli pezzetti di carta stracciata.
Mi scusai per il ritardo, ma Alberto mi interruppe per la seconda volta. «Carlo ha accettato cambiali solo per ventimila euro, la somma che mi ha consegnato in contanti. Le altre cambiali le ha stracciate. Mi ha promesso che non le metterà all’incasso se non avrò denaro sul conto, basta che io lo avverta prima e accoderà la cambiale. Ha detto che ha voluto darmi una lezione… dimostrarmi che non è un mostro solo perché ha un compagno. Non è strano? Non vorrei che ci fosse sotto qualcosa».
Lo scrutai, come se mi decidessi a esplorare un mistero. «Lo trovo naturale, invece. Siete fratelli. Il legame di sangue conterà pure qualcosa, no? Non sai quanto mi è pesato non avere un fratello maggiore!».
Lui mi mise le mani sulle spalle e avvicinò il suo viso al mio. «I gay sono malati. Voglio dire…l’istinto naturale di un uomo è per la donna… come nascerebbero figli se non fosse così? Non sei d’accordo con me?».
Sentii la mia mascella contrarsi in uno spasmo e ebbi la tentazione di sputargli in faccia il mio pensiero: “Io qui vedo un solo malato, tu. E una sola malattia, la ludopatia”. Ma mi frenai in tempo. «No, Albe, non sono affatto d’accordo!».
Lui sollevò le spalle e sparì oltre l’uscio della cucina. «Mi faccio un piatto di trenette al pesto, mi fai compagnia?».
Non risposi. Mi divertii a stracciare i dieci fogli su cui avevo scritto la denuncia e a contemplare una nuvola di coriandoli planare sopra gli altri pezzetti di carta.
E pensai con tristezza a quante volte la gentilezza d’animo viene guardata con ingiusto sospetto.
Usura
L’usura è un illecito particolarmente riprovevole sul piano etico poiché è fondato su un istinto predatorio che spinge a conseguire un ingiusto profitto, sfruttando l’altrui stato di bisogno.
Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 108 del 7 Marzo 1996, si considera usurario il tasso d’interesse superiore ai tassi medi praticati da istituti bancari e intermediari finanziari, rilevati trimestralmente dal Ministero del Tesoro, qualora siano sproporzionati.
A una lettura superficiale della norma potrebbe sembrare che il legislatore definisca usurari i tassi d’interesse superiori a quelli medi praticati, ma così non è. Il tasso applicato, per essere ritenuto oggettivamente usurario, deve essere anche “sproporzionato”. Il legislatore ritiene che il tasso soglia, oltre il quale il saggio d’interesse deve ritenersi sproporzionato, sia pari a quello medio praticato aumentato del 25% ed ulteriormente incrementato di 4 punti. In ogni caso si ritiene a prescindere sproporzionato il tasso d’interesse che sia di 8 punti superiore a quello medio pubblicato.
Per il trimestre Ottobre – Dicembre 2024, le soglie di usura applicate sono state le seguenti:
- 9,025% per i mutui ipotecari a tasso fisso;
- 11,325% per i mutui ipotecari a tasso variabile.
Va detto che oltre alle ipotesi ut supra di usura per superamento del tasso soglia, determinabili oggettivamente sulla scorta di una semplice operazione matematica, sono configurabili ipotesi di usura soggettive e in concreto di cui parleremo più oltre, trattando del reato di usura previsto e punito dall’art. 644 c.p.
Per ora ci basti anticipare che, al di là del tasso soglia, si può parlare di usura in concreto qualora siano configurabili congiuntamente due precondizioni:
- La sussistenza di uno stato di bisogno in capo al soggetto che richiede il prestito;
- Un approfittamento consapevole dell’altrui stato di bisogno da parte dell’usuraio.
Va detto, in generale, che ai fini della valutazione circa l’eventuale natura usuraria dell’interesse praticato in un prestito non si prende in considerazione solo ciò che viene formalmente definito “interesse” ma anche ogni altro vantaggio o compenso previsto in favore del soggetto che eroga la somma in prestito. In effetti, al solo scopo di aggirare le norme ed eludere le sanzioni previste, Caio, che presti denaro a Tizio, invece di indicare un saggio di interesse del 30%, quindi palesemente usurario, potrebbe imputare il 20% a compenso di una propria consulenza o altra prestazione professionale ed un ulteriore 5% a spese sostenute. Così, in modo del tutto fittizio, il saggio d’interesse applicato apparirebbe pari al 5%, dunque senz’altro legittimo, anziché al 30% ovvero di certo usurario.
L’articolo 1815 del codice civile, al capoverso, statuisce imperativamente che “se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La norma citata è inserita organicamente nel complesso normativo che regolamenta il contratto di mutuo, allo scopo di ricondurre ad equità il contratto medesimo e di sanzionare l’eventuale sffruttamento dell’altrui stato di bisogno da parte del mutuante. Si badi che il contratto di prestito di denaro ad interessi ritenuti usurari non è nullo nel suo complesso ma solo limitatamente alla clausola relativa agli interessi. Tale clausola, peraltro, non sarà ritenuta semplicemente come non apposta al negozio giuridico, bensì opererà “all’inverso”, ovvero privando colui che ne ha chiesto l’apposizione in contratto di ogni diritto alla percezione di interessi. Il legislatore, infatti, ritiene non meritevole di tutela, anzi addirittura sacrificabile sulla bilancia della composizione di interessi confliggenti, la pretesa della percezione degli interessi da parte di colui che voglia profittare dell’altrui stato di bisogno. Gli interessi, in altre parole, saranno pari a zero, a titolo evidentemente punitivo e sanzionatorio.
L’articolo 644 del codice penale prevede e punisce il reato di usura. Ai sensi di detta norma è punito con la pena della reclusione da due a dieci anni e alla multa da euro 5.000 a euro 30.000 chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 643 c.p., si faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari. Alla stessa pena soggiace chi si attivi come mediatore nel procacciamento di denaro e si faccia promettere un compenso usurario, sfruttando l’altrui stato di bisogno.
Nella norma si rinviene un notevole sforzo punitivo da parte del legislatore, nell’evidente intento di reprimere con asprezza una prassi davvero odiosa. Tale asprezza si riscontro sotto vari profili:
- La pena massima prevista particolarmente severa, addirittura dieci anni;
- Il fatto che il reato è perseguibile non solo nel caso in cui il reo abbia percepito gli interessi usurari, bensì anche nel caso che se li sia fatti promettere (ciò rende ardua la configurazione del reato nella forma meno grave del tentativo);
- Usurari non sono, come già detto, solo gli interessi, bensì anche gli altri vantaggi o compensi percepiti o promessi al reo;
- Il reato sussiste anche allorché il profitto illecito sia previsto non a fronte della consegna di denaro bensì della dazione di altra utilità;
- È punito anche il mediatore che si attivi per un compenso esorbitante.
La norma, al terzo e quarto comma prevede quanto segue: “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (L. n. 108/1996 NDR). Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.
Letto il comma da ultimo ritrascritto, ci troviamo, pertanto, innanzi ad una seconda ipotesi di usura. Una ipotesi per così dire soggettiva e in concreto che prescinde dal superamento del c.d. tasso soglia (questo tipo di usura oggettiva, di cui abbiamo già trattato, esonera il giudice da ogni altro accertamento dei fatti concretamente svoltisi). Si ha usura in concreto allorché gli interessi, i vantaggi o gli altri compensi, pur inferiori alla soglia legale, siano comunque ritenuti sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, qualora il soggetto che si obbliga alla restituzione gravata dagli interessi versi in uno stato di bisogno di cui l’altro abbia consapevolmente profittato.
Il commissario straordinario del governo ha istituito il fondo di solidarietà per le vittime dell’usura, al fine di proteggere gli interessi di tutti coloro che abbiano denunciato usurai, garantendo loro un finanziamento senza interessi, restituibile in dieci anni.
La domanda di finanziamento va presentata on line al Prefetto e sarà valutata, quanto alla concreta meritevolezza, da un comitato tecnico presieduto dal Commissario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura.
L’articolo 20 della Legge 44/1999 prevede per le vittime di usura la sospensione per 300 giorni delle rate dei mutui bancari.