Diritto processuale penale
Istruzioni per l’uso
Dalla stanza di zio Arturo si poteva vedere il triste muraglione di cinta del carcere di San Vittore. Nella sua grigia uniformità sembrava adattarsi alla tristezza che doveva contenere, nei pochi irrespirabili metri quadrati di una cella.
Era un tardo pomeriggio di fine inizio Dicembre ed il mio sguardo non inquadrava quell’implacabile baluardo a difesa della pubblica incolumità ma era fisso sull’uomo baffuto e corpulento che affondava, come assopito, nella poltrona accanto alla scrivania. Aveva scherzato con lo zio per più di un’ora, prima che mi invitassero nella stanza per rendere pubblico il loro accordo.
Una decina di faldoni erano appena stati impilati l’un sull’altro dalla segretaria e si ostinavano a fissarmi minacciosi dall’alto di una mensola. Lo zio stringeva tra le labbra un sigaro spento ed il suo sorriso radioso sembrava dissolvere le nebbie dell’abituale severità. Mi parlò gonfiando il petto. «Ti presento l’avvocato Vallone, mio compagno di corsi all’università ed affermato penalista».
Feci un sorriso stentato. Allungai la mia mano destra con troppa timidezza e questa rimase sospesa nell’aria, come un invito rifiutato. Forse quel penalista affermato non s’era neppure accorto del mio gesto, peraltro appena accennato, o forse non mi considerava degno neppure di un saluto.
Lo zio non stava nella pelle, gonfiato come un pallone da quell’aria trionfante che aveva dopo un processo vinto. «L’avvocato Vallone dice che nessuno arringa come me in aula. Mi ritiene un oratore infallibile, un persuasore perfetto. Ha detto che sono il migliore sulla piazza nel discutere i processi penali». Piegò il busto in avanti. «Non è vero, Roberto?».
L’altro annuì. «Il migliore, proprio così!».
Lo zio fece un largo sorriso e diede una pacca sulla spalla del suo ospite. Poi mi guardò con fierezza.
«Io e Roberto Vallone abbiamo firmato un accordo. Io discuterò anche i suoi processi. Lui ci passerà le carte con congruo anticipo e ce le studieremo, io e te. Poi toccherà a me battermi in udienza». All’improvviso i suoi occhi da falco, più rapidi di un battito d’ali, sembrarono provocarmi con una scintilla di complicità. «Cosa ne pensi? Te lo chiedo perché il tuo apporto sarà fondamentale».
Quella volta, al contrario del solito, non mi sentii sconfitto dallo zio per manifesta inferiorità intellettuale. Ciò per il semplice fatto che trovavo quella domanda alquanto ridicola. “Io fondamentale? E da quando?”. Davvero contava quel che pensava una sprovveduta matricola del tribunale che non maneggiava un solo euro della pingue cassa dello studio? A dire il vero trovavo grottesco che un “penalista affermato” dovesse pagare di tasca sua perché un altro al suo posto arringasse in Tribunale. Già trovavo una pagliacciata la costosissima toga da indossare in udienza, con gli amici in birreria mi divertivo a chiamarla “il vestito di Harry Potter”, figurarsi l’idea che ancora esistesse l’avvocato trombone, capace di manipolare la mente dei giudici con quattro frasette studiate a tavolino, pagato per anacronistiche prosopopee.
Decisi di non sollevare obiezioni e mi limitai ad annuire, certo che il mio assenso valesse meno dell’applauso dello spettatore di uno spettacolino di quart’ordine.
Allora lo zio fece un balzo dalla sedia e si avvicinò al suo collega ed ospite, fino ad allora inerte come un bradipo, che decise che quella mano, di certo più qualificata della mia, meritava di essere stretta al volo.
Poi mio zio mostrò una bottiglia di prosecco, che teneva in una specie di credenza di legno. «Brindiamo al nostro accordo e ai molti “perseguitati dallo stato illiberale” che tireremo fuori di prigione». Li chiamava proprio così i suoi clienti, ma era il primo a riderci sopra.
Prima di afferrare il calice che mi veniva offerto, sottoposi l’uomo seduto sulla poltrona alla trivellazione di uno sguardo attento e mi feci una domanda: “quella specie di topo grigio è davvero un avvocato o è un attore pagato dallo zio per esaltare il suo egocentrismo ai miei occhi?”.
Non amavo il vino e ne bevvi solo un goccio. Poi lo zio, già un po’ brillo, mi tese un faldone traboccante di carte. «Questo è il primo fascicolo che Vallone ci affida. Hai tre giorni per studiarlo. Voglio una relazione dettagliata, una scaletta per la mia discussione. Non possiamo fallire, capisci?».
In verità era lui che proprio si ostinava a non capire. Anche i muri dello studio sapevano che quella parola “fallimento” era la principale responsabile di alcune mie notti insonni e al mattino, al momento di infilare i piedi nelle pantofole, mi faceva sentire inadeguato alla vita competitiva che pure mi ero scelto.
Strinsi al petto quel fascicolo, che mi sembrò più pesante di me. «Va bene, zio». In uno strano modo, però, mi parve d’essere sollevato. Mi sentivo più a mio agio a studiare le carte e a scrivere appunti per qualcun altro che non a fingere di essere un leone nell’arena dell’udienza.
Quando lasciai la stanza, con la cravatta larga all’altezza del collo per non soffocare, le parole dello zio rimbalzarono contro le travi a vista che sorreggevano il soffitto come le più false di sempre. «Alessio ha talento. Ha proprio la passione per il diritto».
L’altra voce si levò più roca, ma non meno irrealistica. «Tale zio, tale nipote!».
Tuttavia, il mattino dopo mi ero già appassionato a quel fascicolo che mi sembrò più allettante della gazzetta dello sport. Affondai gli occhi nelle carte con avidità da topo di biblioteca e presi una quantità incalcolabile di appunti. L’imputato si chiamava Carmine Esposito ed era accusato di una grave forma di stalking, per avere tormentato la sua ex fidanzata con centinaia di telefonate mute sul posto di lavoro ed a casa della vittima e con decine di biglietti anonimi contenenti insulti. Quanto ai biglietti non era stato possibile acquisire una prova scientifica sull’identità dell’autore. Erano scritti a computer e una perizia grafologica sarebbe pertanto risultata inutile. Per di più Carmine Esposito a casa non aveva un pc su cui eseguire dei rilievi tecnici. A seguito di intercettazioni di polizia era stato invece individuato il codice IMEI di un cellulare intestato ad una tale Vincenzo Crippa. Dalla relazione di polizia risultava che questo signore, convocato negli uffici di PS, avesse dichiarato di avere prestato il cellulare in più occasione proprio a Carmine Esposito, suo conoscente.
Il pubblico ministero aveva ritenuto che la colpevolezza dell’indagato fosse stata accertata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Peccato che nel fascicolo delle indagini, pur voluminoso, non si rinvenisse alcuna verbalizzazione di dichiarazioni attribuibili a questo tale Vincenzo Crippa. Gli occhi mi fiammeggiarono di un bagliore degno di Parry Mason: “Possibile che io abbia fatto bingo al primo colpo?”. Setacciai con gesti febbrili il fascicolo foglio per foglio per ben tre volte: quelle dichiarazioni non erano mai state verbalizzate, dunque mancava la prova della colpevolezza del cliente: “semplicemente spettacolare!”
Avrei voluto fiondarmi all’istante da zio Arturo, per dargli subito la straordinaria notizia dell’imminente successo in Tribunale, ma gli occhi vigili e prudenti di Claudia, che spuntavano da dietro la tazza di camomilla, mi trattennero. Così mi limitai ad annuire con un sorriso di trionfo, che proprio non riuscivo a trattenere. Attesi qualche istante prima di parlare, perché non volevo ferire la sua sensibilità femminile. Ancora avevo nella mente le sue parole di un’ora prima «che merda questi uomini, non sanno accettare un no come risposta. Vedono la donna come un oggetto, che quando non risponde più ai comandi può essere rotto e buttato via».
Pur essendo d’accordo con lei, alla fine mi decisi a renderla partecipe del mio entusiasmo professionale. «Ho fatto una scoperta incredibile. Le indagini hanno un punto debole colossale. Potrei discuterlo io questo processo e tornerei a casa vincitore. Lo zio per una volta sarà orgoglioso di me. Aspetta che lo sappia ed il mio futuro in studio sarà assicurato».
«Sicuro?». Claudia sembrava fatta apposta per far crollare le mie certezze.
«Sicuro! Mancano le dichiarazioni scritte dell’unico possibile testimone!». Per una volta riuscii a tenere duro e a farmi scivolare addosso i suoi interrogativi.
Rigirai tra le dita un foglio ch’era rimasto in secondo piano, perché non era stato prodotto dalla fervida mente dei poliziotti, bensì dall’esimio penalista che ci aveva affidato l’incarico di discutere quel processo. Nell’epigrafe campeggiava una scritta in grassetto “relazione per Avvocato Arturo Battaglia”. In calce c’era la firma dell’avvocato Vallone. Era fin troppo ovvio che si trattasse di un riassunto della faccenda fatto per facilitarci il compito. Lo mostrai a Claudia, con espressione che doveva essersi fatta d’improvviso accigliata. «Se zio Arturo lo legge, addio mio bel trionfo ai suoi occhi. Non ci crederà mai che ci sono arrivato sa solo». Lo appallottolai nella mano.
Lo sguardo della mia ragazza mi trafisse. «Ti sembra una cosa intelligente da fare? Almeno leggilo!».
«Questa è la cosa più furba che abbia mai fatto». E lanciai quel groviglio di carta nel cestino.
Tuttavia la notte seguente non riuscii a prendere sonno. Mi rigiravo su un fianco, subito dopo su quello opposto e la lama di luce che penetrava dalle tapparelle, lasciate un poco sollevate perché il buio assoluto mi ha fatto sempre paura, stordiva i miei pensieri. “Possibile che sia tutto così facile? Non sarò affrettato? Mi gioco la dignità. Non posso sbagliare!”. All’alba i dubbi avevano già scavato un solco profondo nella mia instabile autostima. “Dai, Ale, siamo seri, quando mai le cose ti sono andate dritte con zio Arturo? Sarai anche un bel ragazzo con la faccia d’angelo, ma nel campo del diritto sei uno sfigato assoluto!”.
Al suono della sveglia, con mezza unghia già divorata, una certezza si era scolpita nell’unico neurone che si ostinava a credere di appartenere ad un brillante avvocato. “Meglio chiedere a Claudio. Con lui si sta al sicuro. Lui non può sbagliare!”.
Claudio Catena era il mio migliore amico fin dai tempi delle medie. Era figlio di un avvocato di grido a Milano, con la biblioteca di casa zeppa di volumi sulla storia del diritto dal cinquecento ad oggi. Al mio contrario, Claudio era goffo con le ragazze ma dava del tu ai codici come ancor oggi non ho visto fare a nessun altro. Sapeva fare complicati ragionamenti giuridici, degni di un professore universitario. La sua genialità aveva conquistato un buon manipolo di studenti universitari, che facevano a gara per studiare con lui. Se avesse chiesto anche solo dieci euro a tutti quelli che tirava fuori dai guai con i libri di testo più incomprensibili che si vendevano alla libreria di facoltà, avrebbe fatto di sicuro fortuna. Per scrivere un atto legale avrebbe rinunciato persino a guardare alla tele la finale dei mondiali di calcio.
Claudio era costipato, come spesso gli accadeva quando faceva freddo, ma accettò di affiancarmi nell’esame di quel faldone, destinato a segnare per sempre il mio futuro nel leggendario studio Battaglia. Gli strappai un appuntamento per quella sera stessa.
Quando sollevò il suo naso a punta, rosso come un peperone, dall’ultimo foglio di quella specie di enciclopedia, annuì con autorevolezza. «Vai tranquillo, Ale. Quel foglio non c’è. L’avranno smarrito o sarà finito nel fascicolo sbagliato o chissà. Ma qui dentro non c’è di sicuro».
Tirai un sospiro di sollievo. «Proprio come pensavo, dunque è fatta. L’ipotesi accusatoria crolla come un castello di carta. Come minimo chiederanno scusa al nostro cliente».
Claudio, che alle mie frasi da yankee preferiva espressioni più ponderate, si mostrò possibilista. «A meno che quel tipo, quel Vincenzo Crippa, non venga a testimoniare».
Battei un pugno sulla scrivania, con grinta da vincente. «Impossibile! Siamo alla discussione dell’abbreviato. Non hanno più la possibilità di provare niente».
«Allora complimenti, stai per vincere il tuo primo processo».
«Proprio così». Lanciai lo sguardo oltre l’unica finestra nella stanza del mio amico: molte stelle brillavano in cielo ed un quarto di luna occhieggiava con complicità.
Mi precipitai a digitare sul cellulare, per chiamare il mio mentore. «Zio, non ci crederai. Non hanno niente in mano. Zero assoluto». E lo spirito dello yankee tornò a dominare la mia volubile mente, mentre Claudio riempiva due boccali di birra.
Il mattino dell’udienza pioveva a dirotto, me lo ricordo ancora.
Quando il cancelliere chiamò il processo abbreviato a carico di Carmine Esposito, l’aula era semideserta. C’erano solo il Pubblico Ministero, con sguardo assonnato, e zio Arturo che si aggiustava i pendagli della toga lungo le spalle.
Per parte mia, come da istruzioni ricevute da mio zio, mi accomodai alle sue spalle, pronto a festeggiare il mio personale successo.
Vidi con orgoglio che Arturo stringeva tra le dita, con apparente avidità, il foglio che gli avevo preparato, con la scaletta per la discussione. Erano anche citate sentenze della Cassazione.
Il giudice, che aveva sorriso allo zio mostrando di apprezzarne la professionalità, si era fatto scuro in volto. Rivolse al cancelliere uno sguardo torvo. «Ma che fine ha fatto l’avvocato Ferrari?». Il cancelliere allargò le braccia. Il giudice chiuse l’agenda con stizza. «Va bene, gli faremo una telefonata, discuterà la prossima volta. La parola al pubblico ministero e poi all’Avvocato Battaglia».
Il pubblico ministero blaterò quattro frasette, come se le dichiarazioni di Vincenzo Crippa per magia fossero comparse nel suo fascicolo. Concluse in neanche due minuti chiedendo la condanna dell’imputato.
Poi fu la volta di zio Arturo. Si levò dalla sedia, imperiale come sempre.
Mi piegai in avanti, per sentire meglio. Volevo ascoltare ogni singola parola ed immaginare che fosse mia.
Declamò che mancava la prova per sostenere l’accusa. Disse che le dichiarazioni di Crippa non erano mai state verbalizzate. Erano “tamquam non esset”, pronunciò proprio così e la sua voce stentorea vibrava nell’aula. Mi volsi verso il pubblico ministero e vidi che stava soffocando una risata. Poi notai uno sguardo d’intesa tra lui ed il giudice, che si agitava sulla sedia, con aria incredula. Dopo un confuso gesticolare il magistrato si rivolse con titubanza allo zio. «Avvocato Battaglia, mi scusi se la interrompo. Volevo solo ricordarle che l’avvocato Vallone è parte civile (1) in questo processo. Lei dovrebbe parlare nell’interesse della vittima del reato, non dell’imputato, non so se mi sono spiegato bene…».
Sentii il mio cuore fermarsi nel petto ed un gelo in tutto il corpo, quando lo zio si volse di spalle e mi incenerì col suo sguardo da gladiatore ferito. “Oh no, mio Dio!” pensai “ma come è possibile? E’ assurdo….è impossibile…! Era tutto perfetto!”. Avevo nella testa un vuoto pneumatico, eppure dovevo trovare una luce nel buio, per non impazzire. “…E’ ovvio: la parte civile parla prima del difensore dell’imputato. Ma cosa può essere successo? In cosa ho sbagliato questa volta?”. Un pensiero orribile mi squarciò la mente, saettante come un fulmine: “ah già, quel foglietto di istruzioni che ho buttato…quel maledetto ultimo foglio avrebbe chiarito tutto…avevo dato per scontato che Crippa fosse il nostro cliente…sono un vero coglione!”. Quell’ultimo pensiero: “sono un vero coglione!” mi sarebbero rimasto appiccicato addosso per giorni.
Mi lasciai cadere sul banco, la testa tra le mani, come un portiere che vede gonfiarsi la rete alle sue spalle all’ultimo secondo di una partita che credeva già vinta. “Sbagliando si impara…sbagliando si impara…si, ma io quando finirò di sbagliare?!”.
Vidi che lo zio se l’era presa meno di me e, incredibile a dirsi, aveva ricominciato a parlare come se niente fosse accaduto. Ed il giudice, cosa ancor più assurda, lo ascoltava, prendendo appunti, con occhio interessato.
Ora lo zio quasi gridava che la prova a carico dell’imputato era certa, che la relazione di polizia era da sola sufficiente ad inchiodarlo alle sue gravi responsabilità….
Io lo osservai con la guancia appoggiata su un pugno e pensai: “non sarò mai come lui”.
Parte Civile
La parte civile è un soggetto non necessario, bensì solo eventuale, del processo penale, che talvolta si aggiunge allo schema dialettico accusa/difesa, dando accesso nel processo alla voce della vittima del reato.
La costituzione di parte civile è l’istituto giuridico che consente al soggetto danneggiato dal reato di esercitare l’azione civile nel processo penale chiedendo il risarcimento del danno patito e le necessarie restituzioni.
Tale istituto è stato introdotto per rispondere all’esigenza di economicità processuale ed evitare l’apertura di un processo in sede civile in parallelo ad un altro già aperto in sede penale. La disciplina normativa è contenuta nel codice di procedura penale agli articoli 74 e seguenti. Con la costituzione di parte civile il soggetto danneggiato dal reato può ottenere il risarcimento del danno o la restituzione della cosa dovuta.
La costituzione di parte civile, lungi dal rappresentare uno snodo fisso e predeterminato del processo penale, è viceversa frutto di libera scelta del soggetto danneggiato dall’illecito, il quale, a mezzo di un proprio difensore, sceglie di partecipare al giudizio affiancando il pubblico ministero nel sostenere la pretesa punitiva dell’imputato, seppur nell’ottica meramente risarcitoria.
Alla richiesta di applicazione all’imputato di sanzione penale, una volta accertata la sua responsabilità in relazione alle imputazioni formulate, la parte civile chiederà altresì il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito a causa del reato (quando il fatto illecito integra i profili del reato è dovuto anche il risarcimento del danno non patrimoniale).
La vittima di reato che intenda costituirsi parte civile nel procedimento penale deve farlo:
- Personalmente;
- A mezzo di un difensore munito di procura speciale;
- Con un atto scritto;
- In udienza ovvero con atto notificato, fuori udienza, all’imputato nel domicilio da costui eletto per il giudizio;
- In un termine perentorio. Vale a dire entro il compimento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell’udienza preliminare, nel caso la stessa sia prevista dal rito, ovvero, in caso contrario in dibattimento entro il compimento del medesimo incombente nel termine ex art. 484 c.p.p. o ex art. 544 bis comma 2 (udienza predibattimentale introdotta con la riforma di cui parleremo più oltre).
A mente dell’articolo 78 del codice di procedura penale, la dichiarazione di costituzione di parte civile, ovvero l’atto depositato o notificato contenente la manifestazione di volontà di partecipare al processo penale deve contenere a pena di inammissibilità:
- Le generalità della persona fisica o la denominazione dell’ente o associazione che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante;
- Le generalità dell’imputato nei cui confronti viene esercitata l’azione civile o le altre indicazioni che valgano ad identificarlo;
- Il nome e cognome del difensore e l’indicazione della procura (speciale);
- L’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che giustificano la domanda agli effetti civili;
- La sottoscrizione del difensore.
Per procura speciale s’intende un mandato difensivo posto in calce o a margine dell’atto che non faccia riferimento alla rappresentanza tecnica in un generico giudizio, bensì nello speficico giudizio penale nel quale l’atto è destinato ad innestarsi. All’uopo sarà opportuno che il difensore indichi, nel corpo della procura, il numero di registro del procedimento, il nome dell’imputatato e, per scrupolo, anche la data della prima udienza fissata.
L’avvocato diligente avrà cura di ripotrare altresì nell’atto di costituzione di parte civile:
- L’autorità giudiziaria davanti alla quale si procede;
- Il numero di ruolo del procedimento penale;
- Il nome dell’imputato,
- La data della fissata udienza;
- La manifestazione espressa di volontà della parte civile di costituirsi nel processo penale al fine di chiedere l’accertamento della penale responsabilità dell’imputato e la sua condanna alla pena che sarà ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dalla vittima del reato in conseguenza della perpetrazione dell’illecito.
Riguardo alla quantificazione del risarcimento, va detto che non è necessario indicarlo con precisione matematica nel corpo dell’atto di costituzione, essendo sufficiente riservarsi di farlo all’atto delle successive conclusioni scritte.
Qualora la parte civile avesse intenzione di depositare una propria lista testi, scadendo il termine, come abbiamo già visto, l’ottavo giorno solare precedente alla prima udienza dibattimentale, sarà necessario costituirsi, in caso di mancanza dell’udienza preliminare, notificando l’atto con congruo anticipo all’imputato nel domicilio da questi eletto per il guidizio.
Attenzione: se la costituzione di parte civile ha luogo in udienza non è più assolutamente necessario che a tale udienza compaia il difensore indicato in procura ex art. 122 c.p.p. e che ha scritto l’atto. In effetti, a norma del riformato art. 78 comma 1 bis cpp, costui, se dalla procura non risulta una diversa volontà dell’interessato, può farsi sostituire all’udienza di costituzione da un proprio collaboratore e/o sostituto.
Il nominativo del difensore che depositerà a mani del giudice l’atto di costituzione non deve pertando più risultare necessariamente dalla procura.
Attenzione: diversamente dall’imputato, che può avere fino a due difensori di fiducia, la parte civile può essere assistita da un solo procuratore speciale.
Attenzione: la parte civile ha l’onere di rassegnare, a chiusura del dibattimento e diversamente dal PM e dal difensore dell’imputato, conclusioni scritte (cui unirà di norma una nota spese per il rimborso delle spese di assistenza legale).
La parte civile può essere ammessa al patrocinio a spese dello stato. Qualora non lo fosse dovrà avere cura di applicare all’originale dell’atto di costituzione una marca da bollo da € 27,00 .
Attenzione: la parte civile non possiede un autonomo potere di impugnare le sentenze di assoluzione dell’imputato (con atto d’appello o ricorso per cassazione) ma può presentare il gravame unicamente in punto di capi civili della sentenza, ovvero quelli relativi alla domanda risarcitoria.
La parte civile può formulare domande ai propri testimoni. Può altresì porre domande ai testimoni del PM e dell’imputato. In ogni caso prenderà la parola dopo il pubblico ministero e prima dell’imputato.
La parte civile costituita in primo grado, s’intende costituita anche automaticamente nei successivi gradi di appello e cassazione, senza necessità di reiterare la domanda.
La parte civile costituita in giudizio può successivamente essere estromessa dal giudizio medesimo (con provvedimento di revoca della costituzione di parte civile), qualora sopravvenga la prova della carenza dei presupposti per la sua partecipazione.
L’articolo 82 prevede e disciplina i casi di revoca della costituzione di parte civile:
- Rinuncia espressa. Consiste nella dichiarazione di rinuncia alla costutuzione di parte civile (normalmente a seguito di accordo con l’imputato circa il risarcimento del danno ed il rimborso delle spese legali) fatta dalla parte o dal suo procuratore speciale in udienza ovvero con atto depositato in cancelleria e notificato dalle altre parti;
- Rinuncia implicita. Consiste nell’omissione, da parte della parte civile, della presentazione al giudice, all’udienza di discussione, delle conclusioni scritte ex art. 583 c.p.p. ovvero nella contemporanea proposizione di azione in sede civile per il risarcimento dei danni.
La norma prevede che, una volta perfezionata la revoca, il giudice non possa provvedere in merito ad una domanda dell’imputato di risarcimento del danno o di rimborso delle spese legali nei confronti della parte civile.Tale domanda potrà essere viceversa presentata in sede civile.
La parte civile la cui costituzione sia stata revocata può sempre esperire autonoma azione civile.
Si badi che, qualora sia intervenuta sentenza di condanna dell’imputato al risarcimento del danno patito dalla parte civile, la sopravvenuta, nei successivi gradi di giudizio, prescrizione del reato non toglie efficacia alle statuizioni civili che, lungi dall’essere travolte dalla prescrizione, permangono viceversa in vigore.
Come brillantemente sottolineato da alcuni autori, la parte civile nel processo penale rappresenta un mero ospite tollerato. Scopo precipuo del processo penale è, infatti, infliggere al reo l’adeguata sanzione penale e soddisfare la collettiva esigenza che i reati siano puniti, non già soddisfare le pur legittime pretese risarcitorie della persona danneggiata dal reato.
Pertanto l’avvocato che veste i panni del procuratore speciale della parte civile dovrà agire con diligenza, dovendo affrontare un autentico campo minato di preclusioni, inammissibilità e decadenze.